Quando c'è l'alternativa

scuola Primaria “A. Focaccia” – IC n°8 Forlì
(Astrid Valeck)

“Il mare è una riga blu”

[T. Guerra]

Questo anno scolastico mi ha regalato un’esperienza nuova: “il potenziato”. Tra i miei compiti c’è anche quello di seguire gli alunni che hanno scelto di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. In gergo, l’alternativa alla religione.

Mi sono state assegnata due classi IV di scuola Primaria per un totale di 8 alunni, che potrei definire “stranieri”, ma loro mi correggerebbero. Infatti c’è chi è nato in Italia da genitori stranieri e chi è nato all’estero; chi ha un genitore italiano e chi li ha tutti e due provenienti da altre terre…e nel gruppo, da poche settimane, ce n’è pure uno nato in Italia da genitori italiani. Parlano tutti bene la lingua italiana sebbene qualcuno sia arrivato solo da un anno. Italiani o stranieri (o non italofoni o con background migratorio…) quindi?

 

Il viaggio e la meta

Quello che conta è il viaggio, non la meta” è uno dei primi principi pedagogici che mi hanno accolta quando ho iniziato ad insegnare più di venti anni orsono e da allora mi accompagna. Il viaggio inteso come percorso e come opportunità di crescita e di cambiamento. Un’occasione di autoapprendimento. Scrivere la lettera rappresenta il viaggio, un’occasione educativa e didattica allo stesso tempo.

Non è che un insegnante serva a molto, salvo a ben predisporre ciò che occorre affinché gli alunni siano artefici dei loro apprendimenti. Potrei definire un insegnante un buon regista (non è un’idea mia, c’è chi  vi ha scritto sopra molto). Vede oltre la cornice, cerca quanto occorre, presta attenzione ai “segni” dei bambini (quei piccoli sassolini o briciole di tanti personaggi delle fiabe), fa sintesi quando occorre ma, soprattutto, offre “domande” -le giuste domande- affinché ogni alunno possa sentirsi protagonista e capace di pensiero, poi si tiene in disparte. Mi riesce sempre? Sinceramente no, però quando tutto si infila per il verso giusto ecco che il viaggio ha inizio.

La giusta domanda è arrivata con le parole di Nuto Revelli 2 che i bambini hanno ascoltato molto attentamente.

È stato interrogandosi su quella particolare parola che è “ignoranza” che è emerso l’argomento che stava loro a cuore e che gravava inespresso sui loro pensieri e sul loro sentire bambino: la notizia reiterata nei TG che gli stranieri devono andare via dall’Italia.

Dato il presupposto che loro, nessuno di loro, si sente straniero perché vivono qui, vanno a scuola e vedono il loro futuro in Italia le preoccupazioni erano, dapprima per i loro genitori e poi per loro stessi: perché devo andare via se sono e mi sento italiano?

Le loro preoccupazioni sono ben più radicate e promosse dalle storie che hanno portato le loro famiglie a raggiungere l’Italia -in modo pensato e progettato oppure più avventuroso- ad esserci da parecchi anni o da un tempo minore.

Anche i loro pensieri relativamente a “permessi di soggiorno”, “regolarità” o “irregolarità” sono pesantemente influenzati dalle esperienze personali. Spesso si immagina l’infanzia come un tempo della vita in cui tutto è semplice e i pensieri sono leggeri, ma non è così. Almeno non per tutti. Ci sono bambini che si fanno carico di vicende che non sono le loro, ma che appartengono al mondo degli adulti e che agli adulti spetta risolvere, ma è come se i bambini sentissero l’impotenza dei grandi.

Scrittura e conversazione

Per “lasciare andare” e con-dividere quanto si pensa e si prova occorrono tempo e silenzio.
Siamo in pochi e abbiamo un ambiente tutto per noi. Momenti di scrittura individuale si alternano alla lettura dei testi scritti, al fare sintesi, al confronto verbale.
Ogni pensiero appena abbozzato viene esplorato e riproposto al gruppo affinché ognuno possa dire la sua. Quindi si procede alla sintesi. Si individuano i nuclei essenziali e, collaborando tra di loro, i bambini predispongono diversi schemi con l’uso di post-it colorati.

Dagli schemi stesi sul pavimento o sui tavoli e dalle parole chiave che evidenziano i nuclei, nelle settimane successive, sono nate una lettera e una rappresentazione grafica. Quest’ultima è sintesi e metafora del loro lavoro.

 

Non surfisti, ma palombari

Se l’ “ignoranza” è non ragionare con la propria testa, allora quanto si ascolta va vagliato attentamente.

L’immagine del mare con un sopra e un sotto dà visione di quanto i bambini stanno elaborando.

Sono concordi nello scrivere una lettera per spiegare ad altri bambini e ad altri adulti il loro pensiero, ma desiderano anche preparare un cartellone che possa “parlare” ai più piccoli della scuola che ancora non sanno leggere fluentemente.

Sulla linea del mare ci sarà la frase che a loro non piace e nel vento i tanti pregiudizi che sentono dalle persone e in tv. Un surfista è colui che cavalca le onde e, quindi, si limita ad ascoltare quello che sente in giro senza ragionare.

Ciò che loro pensano, invece, sarà in fondo al mare all’interno di alcuni bauli. In fondo al mare perché sono pensieri pensati e ragionati, quindi profondi e preziosi, e per conoscerli bisogna scendere (andare a fondo, non fermarsi sulla superficie), per questo ci vuole un palombaro.

Ogni baule è caratterizzato dalle parole chiave individuate negli schemi:

Amo l’Italia

libertà

perché partire

uguali ma diversi

futuro

Per creare il cartellone serve però un progetto; anche perché ciascuno ne dovrà curare un aspetto, da solo o con un compagno.

Il bozzetto di preparazione al cartellone

Come ho anticipato non è stata un’attività di una mattinata, ma ha richiesto un paio di mesi. Le ore di alternativa sono solo due la settimana.

Questo tempo di attesa, che è stato anche sedimentazione e sollecitazione del desiderio, ha permesso ai bambini di ritornare su quanto avevano detto e scritto, aggiungere precisazioni e portare idee e passione nuove.

Mi incontrano per il corridoio della scuola e mi chiedono: “La prossima settimana, posso portare…per completare il lavoro?”.

In modo molto naturale c’è chi comincia a scrivere il testo collettivo cercando tra gli schemi i contributi dei compagni e chi si avvicina per aiutare. Chi guarda il cartellone ed esclama: “Che ne dite se ci mettiamo anche una bottiglia che galleggia con dentro la lettera che stiamo scrivendo?”.

Il cartellone si arricchisce rispetto al progetto iniziale.

Tutti partecipano e tutti si riconoscono in quanto sta prendendo forma. L’ultimo passaggio è dedicato al titolo. Questo deve tener conto del contributo delle due classi. Le sensibilità dei due gruppi sono diverse ed esse devono sentirsi riconosciute nel titolo. Entrambe le proposte trovano aggregazione: Guardare sotto la superficie dell’onda, le nostre parole e i nostri sentimenti.

Certo i momenti di “forte” confronto non sono mancati, le opinioni possono essere molto differenti anche tra i bambini. A volte l’ascolto silenzioso è divenuto acceso dibattito, ma a riportare il clima nella giusta posizione aiuta una lavagna e la sintesi degli interventi ripresa dalla maestra.

Per qualcuno è stata una bella palestra, se penso che nella prime frasi scritte compariva un’ipotesi surreale in cui “tutti gli stranieri devono lasciare l’Italia mentre i figli, che sono nati in Italia e quindi italiani, possono rimanere  affidati ad altri adulti”. Le risposte e gli sguardi sconcertati dei compagni devono aver mosso qualche pensiero se, a distanza di tempo, quello stesso bambino ha esordito con “Nel mondo siamo tutti stranieri. Se vado in un altro posto, sono straniero lì in quel posto”.  Al che, un altro bambino quasi friggendo sulla sedia, è esploso: “Ma, allora, quand’è che uno smette di essere straniero e diventa di quel posto?!?”.

E su questa nuova domanda, che il cartellone tanto ha a che fare con i concetti di identità e appartenenza, scaturita come riflessione per sé, ma rivolta ai compagni e, credo anche ad ognuno di noi, mi fermo.

Questa è la lettera scritta dai bambini

 

Cari amici,

vi vogliamo raccontare di un testo che abbiamo ascoltato. È di Nuto Revelli e parla dell’ “ignoranza”. Racconta di un uomo che ha vissuto la guerra, ha imparato che la guerra non serve a niente e che bisogna pensare con la propria testa. Anche noi sentiamo notizie che non ci piacciono e che ci fanno pensare che l’ “ignoranza” sia non pensare con la propria testa. Ad esempio ci dispiace e proviamo malincuore alla notizia dei telegiornali che gli stranieri devono andare via dall’Italia.

Abbiamo parlato tanto tra di noi e abbiamo scoperto che ci sono dei modi di pensare superficiali, che sono i pregiudizi, e dei modi di andare a fondo nelle cose che sentiamo intorno a noi, per ragionare con la nostra testa. Oltre a questa lettera abbiamo realizzato un cartellone. C’è il mare: sulla superficie un surfista cavalca le parole che sentiamo intorno a noi (i pregiudizi), e in profondità, dentro dei bauli, ci sono i nostri pensieri (ragionati con la nostra testa).

Chi viene in Italia ci viene perchè, forse, nel suo Paese ha dei problemi familiari e non può restare, perchè cerca lavoro, forse nel suo Paese c’è la guerra o può essere che l’Italia è un Paese più libero di altri.

La libertà, secondo noi, è vivere in pace, poter andare a scuola o lavorare, stare con la  propria famiglia, stare con gli amici, essere liberi cioè fare quello che si vuole senza infrangere le leggi, scegliere dove vivere senza bisogno di permesso di soggiorno, esprimere le proprie opinioni, andare dove si vuole senza essere obbligati, non fare la guerra.

Stranieri o italiani, siamo tutti persone. Siamo uguali, ma diversi. Il mondo è fatto per tutti. È la varietà che sa rendere bello il mondo. In ogni luogo del mondo ci devono essere tante persone diverse; può essere che un italiano non sa fare delle cose che uno straniero è capace di fare e lui gliele può insegnare e l’italiano insegna allo straniero altre cose.

Però, se si viene in Italia, si deve arrivare coordinati, cioè si deve dire che si arriva e l’Italia si deve poter organizzare per dare ospitalità. Se uno arriva senza dire niente, che nemmeno si sa che è venuto, questa persona come può vivere? È come se non esistesse, è terribile!

Tutti  noi veniamo da Paesi diversi o lontani, qualcuno magari è nato in Italia, qualcuno è nato in un altro Paese. Ci piace l’Italia e ci piace il nostro Paese.

Da grandi vogliamo vivere in Italia, nel nostro o in un altro Paese: Marocco, Londra, Manchester, Indonesia, Francia, Parigi, Spagna, Maldive, Inghilterra o Canada. Diventare chef o scienziati, archeologi o veterinari, qualcuno di noi vorrebbe viaggiare per tutti i posti del mondo, diventare pilota, ingegnere, attrice, pittore o calciatore.

(1) Esperienza premiata nel concorso “Ricordando Nuto” (menzione speciale) e nel concorso “Scrivere altrove” (3° classificato) anno 2019
(2) Estratto dal discorso in occasione del conferimento della laurea honoris causa “Sull’ignoranza” – Le parole di Nuto